
Una perla nel tufo: Sant’Agata de’ Goti.
La provincia di Benevento è un susseguirsi di alture e vallate che regalano allo spettatore panorami naturalistici incantevoli: fiumi e torrenti, provenienti da possenti montagne, scorrono tra colline colme di vigneti e boschi che accolgono con un tenero abbraccio deliziosi borghi dalla storia millenaria. A occidente del Monte Taburno, cima ammirata a lungo durante alcune gite nella provincia di Avellino (andate a rileggervi l’articolo sul Parco del Partenio!), su un singolare e possente altopiano di tufo rinfrescato dalle acque dell’Isclero, affluente del Volturno, si eleva Sant’Agata de’ Goti, comune soprannominato “perla del Sannio” e inserito a tutti gli effetti nel circuito dei borghi più belli d’Italia.

L’altopiano impervio e a prova di invasione risulta abitato da quando sorgeva la città di Saticula che, colonizzata dai Romani, assunse le fattezze di un tipico castrum come solido avamposto per le guerre sannitiche e puniche. Tuttavia la fisionomia del centro abitato, visibile ancora oggi, risale prevalentemente al Medioevo, cioè quando giunsero i Longobardi prima e i Normanni poi.

Non è ancora chiaro se, tra le tante civiltà che abitarono Sant’Agata, ci furono anche i Goti: in effetti molti si chiederanno da dove provenga il toponimo “de’ Goti” e, attualmente, l’ipotesi più accreditata sembra fare riferimento alla famiglia Drengot in carica durante il periodo normanno. Il nome del feudo di origini francesi, con il passare del tempo, subì delle storpiature diventando “De Goth” e, data l’usanza di dare il proprio nome ai possedimenti (che per pura coincidenza sparì subito dopo la caduta dei Drengot), tale pronuncia rimase legata a “Sant’Agata” fino alla fine dell’epoca feudale.

I Longobardi ingrandirono il centro urbano del vecchio castrum rimpiazzando alcuni edifici romani ed edificando un castello dalla quale si controllavano le varie masserie, sorta di fattorie fortificate dedite alla produzione di beni di prima necessità per il nuovo gastaldo di Sant’Agata, così nominato come segno di devozione per la santa martire catanese.

Le basi “grezze” dei Longobardi furono poi evolute dai Normanni che rinforzarono le mura perimetrali con torri e cinte di case-cortina, realizzarono nuovi depositi e cisterne sfruttando cave di tufo già esistenti, restaurarono chiese introducendo l’arte bizantina ed edificarono altri edifici rappresentativi che resero la città importante dall’età angioina in poi passando via via per le mani di vari feudatari: oltre ai Drengot, gli Origlia, i Della Ratta, gli Acquaviva, i Rams, i Cosso e i Carafa fino al 1806.


La bellezza del borgo si vive partendo dal ponte Vittorio Emanuele dal quale si ammira il vallone Martorano e la lunga fila di edifici che compongono una sorta di muro difensivo alto 150 metri. Al di là del ponte, le suggestioni si fanno sempre più intense: a destra, quasi uno di fronte all’altro, si presentano il castello longobardo diventato poi Palazzo Ducale con i consueti rifacimenti stilistici e la Chiesa di San Menna, piccolo edificio di stampo romanico a pianta basilicale al cui interno colpiscono il pavimento a mosaico con motivi geometrici e gli archi sorretti da colonne di spoglio.







A sinistra dei due edifici sopra menzionati spunta il verde di Piazza Trieste e, poco oltre, si nota l’incessante via vai della popolazione locale su Via Roma, suggestiva strada colma di botteghe e locali che si unisce ad altri numerosi e arzigogolati vicoli da percorrere con lentezza.




Proseguendo sempre dritto, tutt’a un tratto, spunta da sopra i palazzi gentilizi il bellissimo campanile del Duomo. Il rivestimento maiolicato giallo e verde non deve ingannare sulle origini effettive della chiesa che risalgono al 970, infatti il portale d’ingresso e la cripta sotterranea sono tipicamente romanici mentre le tre navate interne, nel corso del ‘700, furono impreziosite da capitelli e stucchi donando sembianze barocche.




Solo nel 1986 il duomo ebbe il ruolo di concattedrale a seguito dell’unione della diocesi locale con quella di Cerreto Sannita. Nonostante ciò, l’ordine religioso del borgo dal Medioevo in poi, era tenuto in gran considerazione grazie alla guida di vescovi importanti quali Alfonso Maria de Liguori e Felice Peretti (divenuto poi Papa Sisto V) che contribuirono ad ingrandire l’ambiente ecclesiastico costruendo e restaurando strutture religiose di rilievo.





Oltre ad ammirare l’architettura e le opere delle varie abbazie, i turisti più interessati a scoprire maggiori aspetti della storia religiosa di Sant’Agata, possono visitare il Museo Diocesano il quale custodisce affreschi tratti in salvo da chiese severamente danneggiate dopo il terremoto del 1980 e reliquiari provenienti da epoche che vanno dal ‘600 all’800.

Nonostante il progresso cavalcante dopo la caduta dei feudi, il tessuto urbano medievale del borgo non venne completamente sradicato. Anzi, dal punto di vista stilistico, i palazzi patrizi e gli “slarghi” costruiti per ampliare alcune vie nei punti più stretti, hanno migliorato l’aspetto finale del centro storico rendendolo uno dei più caratteristici ed allo stesso tempo eleganti del Sannio.
Però dal punto vista gastronomico fanno da padrone le tradizioni contadine le quali vengono ancora tramandate dai numerosi agriturismi presenti nel circondario di Sant’Agata ove erano presenti le masserie. Tra i tanti si consiglia: Antico Pozzo degli Ulivi, Agriturismo Buro, LAPIS Agriturismo e La Mela Annurca i quali promettono tantissima natura, materie prime a km 0 e golosissima cucina rustica da gustare in antichi casali tirati a lucido.
E per i palati più sofisticati? In tal caso si può rimanere nella raffinata Via Roma del borgo e sbirciare lo sbalorditivo menù esposto all’esterno dell’Agape Ristorante. La carta presenta dei veri e propri virtuosismi dove i prodotti non solo locali ma di tutta la Campania vengono esaltati dalle mani del bravissimo chef Gabriele Piscitelli.
L’esperienza inizia entrando nel palazzo Viscardi ben accolti dal personale di sala altamente qualificato e con un pizzico di confidenzialità che non guasta mai; una volta seduti si nota la mise en place elegante, l’arredamento minimale e parte della cucina a vista dove vengono rifinite le portate più artistiche. Tantissima cura ovviamente non poteva mancare nella cantina sotto la supervisione di Gianna Piscitelli (sorella dello chef) che offre una varietà importante di vini da tutta Italia oltre che dal Sannio. Una volta consigliato il nettare adeguato al percorso gastronomico non rimane che attendere, in tempi abbastanza brevi e ben coccolati dalla brigata, e rimanere stupiti.










La giornata si può concludere felicemente con un caffè presso i bar presenti nelle piazze o lungo le mura perimetrali di Sant’Agata per poi, magari, rilassarsi in un silenziosissimo parco lontano dai quartieri più turistici e di maggior passaggio.
E’ l’esperienza definitiva di turismo lento: la riscoperta dell’equilibrio vivendo la storia e le tradizioni dei nostri borghi.
