Il nobile lignaggio di Gesualdo.

Il nobile lignaggio di Gesualdo.

11 Dicembre 2022 Off di Dario Tomasiello

Girovagando per i più rinomati borghi dell’Irpinia si può ammirare un quadro particolareggiato in cui ogni dettaglio custodisce una storia ricca di aneddoti e curiosità. A prima vista l’estetica rurale e priva di orpelli dell’ambiente sembra suggerire radici tutto sommato umili e per nulla simili ad altre di località più a nord della penisola italiana in cui il denaro sembrava maggiormente a portata di mano.

I borghi irpini possiedono un fascino rurale unico.

Con il passare del tempo le necessità del popolo sono diventate più urgenti e il lusso meno manifesto (anzi sgradito agli occhi dei meno abbienti) a causa del rapido susseguirsi di vicende problematiche se non addirittura tragiche. Le guerre e le conquiste da parte di varie civiltà, i terremoti, le pestilenze e l’avvento del brigantaggio sono situazioni che accadute in tempi brevi possono mettere in crisi il sistema e arrestare l’affermarsi di un centro piccolo o grande che sia. In tali circostanze solo l’interesse e l’intelligenza degli uomini dotati di un discreto potere può salvare il popolo e rendere il proprio regno quanto più fertile a lungo.

Un luogo che ha goduto di particolare splendore nel passato è nell’Irpinia centrale coricato su un dorsale tra le valli di Ansanto e Ufita: il borgo di Gesualdo. Dall’uscita autostradale di Grottaminarda servono pochissimi chilometri per arrivare nel cuore del centro storico, “mollare” l’auto in Piazza Neviera e proseguire a piedi su Via Municipio per essere inondati da un potente senso di epicità e ricchezza tanto comune in certi borghi toscani.

Arrivo in Piazza Neviera a Gesualdo.
La chiesa del SS. Rosario, principale luogo di culto del borgo.

I begli edifici feudali celano il passaggio sul suolo di antichissime civiltà neolitiche oltre che dei grandi conquistatori Romani ma la pietra fulcro della nascita della roccaforte venne posata dai Longobardi scorazzanti nel meridione d’Italia tra il 500 e il 600. Fu l’allora Duca di Benevento a donare i terreni dove sorge l’attuale castello ad un cavaliere probabilmente chiamato Gesualdo il quale si distinse per atti di eroismo durante il conflitto tra Longobardi e Bizantini.

Il castello di Gesualdo è visitabile e aperto ad incontri culturali, concerti e manifestazioni.
All’esterno rispetta canoni estetici ottocenteschi e medievali mentre all’interno sono maggiori i riferimenti gotici e rinascimentali.

I discendenti del cavaliere regnarono per quattrocento anni fino alla venuta dei Normanni che, con i giusti matrimoni (per fini politici…) e le appropriate strategie espansionistiche, ingrandirono notevolmente il borgo diventato a tutti gli effetti una baronia con ben 36 possedimenti tra cittadine e terreni.

Con gli Svevi iniziarono a mancare degli eredi e, di conseguenza, i domini della città si ridussero a pochissime unità. Fu allora che la casata dei nobili Gesualdo ricomparve acquistando in toto la terra natìa anche se il momento non rappresentava dei migliori. Il perché fu a causa dei continui assedi per mano degli Aragonesi nel XV secolo provocati dagli Angioini che culminarono con la vittoria del potente impero spagnolo.

La grande svolta avvenne con il principe Carlo Gesualdo, raffinato compositore di madrigale italiano e membro della nobiltà del Regno di Napoli in esilio dopo aver assassinato la prima moglie Maria d’Avalos e il suo amante, Fabrizio II Carafa, sorpresi in flagranza di adulterio. Il misfatto, per quanto macabro, all’epoca rappresentava una vendetta “comprensibile” se il tradimento veniva confermato anche da altre persone. Ma, nonostante la colpevolezza certa della moglie, Carlo decise di isolarsi in Irpinia cercando il perdono di Dio e nel contempo ricoprire di lustro il borgo di Gesualdo.

Chiesa della Santissima Addolorata.
L’impegno di Carlo Gesualdo portò al borgo raffinate opere tra chiese e fontane. In foto la Chiesa di San Nicola.
Tra le fontane spicca per bellezza la Fontana dei Putti edificata nel 1605.
Anche la rete viaria fu migliorata e abbellita.
La Fontana Maggiore in marmo onice.

La fontana/abbeveratoio in Piazza Canale risale a prima del Rinascimento (probabilmente al 600).

Il castello fu trasformato in dimora nobiliare fungendo da ritrovo tra artisti e letterati come Torquato Tasso mentre la rete urbana si impreziosì di palazzi, chiese e fontane ampliando notevolmente i quartieri fuori dalla rocca fortificata. Alla morte del principe, a succedergli fu Niccolò I Ludovisi che, seppur meno osannato di Carlo, contribuì in maniera determinante alla crescita urbana e sociale della città completando le opere di sviluppo del predecessore secondo lo stile dell’architettura rinascimentale.

I quartieri di Gesualdo sfoggiano angoli suggestivi che richiamano il Medioevo e il Rinascimento.
Archi e portali in pietra abbondano.
In alcune vie sono evidenti costruzioni di recente realizzazione che, però, non guastano l’atmosfera.
La caratteristica Via Gelso.

Il dominio sul luogo della storica famiglia Gesualdo terminò nel 1772 quando il feudo fu ceduto ai Caracciolo che rimasero al potere fino all’eversione della feudalità. Dopo l’Unità d’Italia Gesualdo visse anni bui dettati dal brigantaggio e dalla povertà che gettarono un pesante velo di incertezza sul futuro delle nuove generazioni. Per tali ragioni il fenomeno migratorio fu massiccio in un luogo dove l’unico sostegno monetario sembrava ormai provenire solo da mansioni umili come l’agricoltura, l’allevamento e l’artigianato.

Il terremoto del 1980 suonò come un colpo di scure: il borgo fu gravemente danneggiato e i successivi lavori di ricostruzione richiesero molto tempo anche se furono contornati da una leggera ventata di ottimismo con la nascita di nuove attività e la prospettiva di incentrare l’economia sul turismo.

Il richiamo turistico non raggiunge il livello di regioni più blasonate ma il recupero e le rifiniture degli edifici è senza dubbio di rilievo. Il tessuto urbano esposto a sud ovest, dove ogni casa dispone di veduta e di luce propria, mostra perfettamente l’architettura intelligente dell’epoca mentre i dettagli delle strade lastricate, dei portali in pietra e delle fontane esprimono il nobile lignaggio.

I lavori di recupero sono stati eseguiti con lo scopo di non stravolgere troppo l’aspetto orginario.
Dotarsi di tempo e camminare in qualunque anfratto.
Il silenzio di Via Neviera.

Per finire, tanta pacata bellezza, non può non essere supportata dalla piacevole accoglienza di svariate strutture ricettive. Agriturismi in aperta campagna, osterie nel cuore del centro storico e ristoranti dal tocco glamour non mancano per soddisfare il palato di qualsiasi avventore. Da provare la semplicità a conduzione familiare della trattoria Da Peppino, la raffinata tradizione del ristorante La Pergola e, infine, la giovane realtà dal nome di Decànta.

Il bistrot appena menzionato è nato da un’ispirazione scaturita da qualcosa di profondo: il legame con la terra e l’esaltazione del cibo. Da elementi così potenti è sbocciata l’idea di Ivo Caruso e soci di metter su un locale curato e “frizzante” incentrato sul vino e sulla cultura culinaria irpina. Il servizio di sala garbato e l’atmosfera lounge sono ideali per un’esperienza gastronomica rilassata oppure per un calice del sacro nettare al grande bancone conviviale. Tuttavia il bel menù stuzzica a consumare almeno un singolo pasto: con ai fornelli il talento di Emilia Damaso, chef con svariate esperienze tra cui una all’Osteria Arbustico, le portate sono un concentrato di ricchezza dove ogni ingrediente è studiato per dare valore non solo al piatto ma anche alle sue radici.

Gli interni sono semplici ma eleganti nel loro minimalismo con tanti scaffali traboccanti di vini e altri prodotti dell’Irpinia.
Immancabile benvenuto che funge da inizio delle danze.
Cavatelli, zucca, funghi e pancetta croccante.
Brasato all’aglianico con purea di castagne, melagrana e puntarelle.
Tra i dessert spuntano i ghiotti quaresimali di Calitri.

Al termine di una giornata, l’eleganza e la sobrietà sono gli elementi che contraddistinguono qualunque esperienza nella cara vecchia Irpinia: un territorio affascinante che non ostenta la sua bellezza e, quando accade, la mostra timidamente sussurrando a bassa voce.