
L’incanto delle Grotte dell’Angelo tra borghi d’altri tempi.
La natura della Campania è sorprendente nella sua varietà: dalle scogliere sul mare cristallino fino ai rilievi montuosi rivolti al cielo si presentano scorci di incredibile bellezza difficili da dimenticare. I paesaggi, così come la cultura, differiscono di provincia in provincia tanto da poter facilmente inquadrare le caratteristiche di un territorio rispetto ad un altro.

Le piccole catene montuose e le rispettive sorgenti hanno realizzato con il passare dei millenni siti naturali di grande pregio che richiamano ogni anno migliaia di turisti da qualunque parte del mondo. Un esempio è il polmone verde dei Monti Alburni situato all’interno del Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni che racchiude anche alcuni graziosi borghi dalla storia ricca e affascinante (andate qui per saperne di più).
Il gruppo appartenente all’Appennino Campano, oltre ad essere meta di spettacolari escursioni tra verdi boschi, cela alcune tra le più belle cavità carsiche d’Italia. Imperdibili sono le Grotte di Castelcivita che, con una lunghezza di ben 4800 metri, sono il complesso sotterraneo più lungo del Meridione costituito da gallerie multiformi e ampi spazi creati dall’erosione calcarea in azione da migliaia di anni. Invece le Grotte di Pertosa-Auletta, seppur di estensione minore rispetto alle “sorelle” di Castelcivita, regalano uno scenario indimenticabile illuminato a regola d’arte e reso unico dalla presenza di un fiume sotterraneo, il Negro.

Le cavità appena menzionate sono conosciute anche come Grotte dell’Angelo e si trovano nella suggestiva valle attraversata dal fiume Tanagro a pochi chilometri da Pertosa. Visitabili dal lontano 1932 sono ora gestite dalla fondazione MIDA che ha l’impegno di valorizzare non solo il percorso naturalistico e speleologico delle grotte ma anche la storia dell’Uomo che ruota attorno ad esse. Infatti, dalla preistoria fino al XVII secolo, le caverne sono state calpestate dall’essere umano per diversi motivi: per viverci, come testimoniano i resti di alcune antiche palafitte sommerse, e per omaggiare l’Arcangelo Michele tramite un altare il cui attuale sostituisce il precedente di origine medievale.


Tra gli aspetti più affascinanti del sito di Pertosa-Auletta spicca il breve percorso in barca sul fiume Negro, un lento e silenzioso ondeggiare tra luci e ombre mentre personale specializzato manovra l’imbarcazione attraverso un sistema aereo di funi. Una volta scesi a terra, la guida accompagna lungo un tracciato sicuro alla scoperta di gallerie e sale disegnate dall’acqua e dai fenomeni tettonici mentre dell’illuminazione all’avanguardia crea suggestivi giochi di colore sulle rocce.










Dopo una buona ora di incanto si domanda cos’altro potrebbe avere lo stesso carico di suggestioni, uno spettacolo simile non esiste nelle immediate vicinanze ma il Vallo di Diano è una terra fertile di cultura che si può toccare a piene mani visitando i borghi circostanti.
Pertosa è un minuscolo comune che, però, in tempi remoti fu l’artefice del motore turistico che ha sviluppato in maniera significativa l’economia attuale della Val Tanagro. Il nucleo abitativo nacque dagli sforzi di monaci benedettini e di agricoltori fuggiti dalle incursioni Saracene sulle rive del Tanagro; insieme bonificarono la zona, incrementarono le coltivazioni di olivi e costruirono chiese grazie alle numerose donazioni tra le quali figura anche la cessione delle magnifiche grotte. Il centro si ingrandì e prosperò complici anche le buone condizioni climatiche le quali convinsero abitanti degli insediamenti vicini a trasferirsi rendendo Pertosa un importante casale del feudo di Caggiano.







Il comune di Auletta, visibile su uno sperone poco distante da Pertosa, racconta di un lignaggio più nobile non solo grazie alla presenza di un castello: in epoca romana il territorio era abitato da famiglie patrizie che soggiornavano in ricche ville lontane dal caos cittadino della sontuosa Volcei. Alla fine dell’Impero, il terreno fertile e l’aria salubre, furono alcuni dei motivi che spinsero i Longobardi a fondare un centro con l’immancabile maniero il quale venne poi ingrandito dai successivi Normanni.


Intorno all’anno 1000 il borgo era fortificato e con tre vie di accesso che attraversavano l’abitato costruito come da copione attorno al castello. Alcuni palazzi nell’intricato centro storico confermano chiaramente l’elevato livello sociale che si raggiunse dopo il Medioevo e durante l’epoca feudale con famiglie quali i Gesualdo a governare con astuzia e generosità tali da richiamare ed ospitare illustri regnanti. Purtroppo il benessere cessò di fluire nel 1764 a causa di violente carestie ed epidemie, infine il minaccioso dominio Borbonico al quale gli aulettesi erano molti contrari spronò alla formazione di gruppi carbonari che furono spesso soppressi nel sangue.








Guardando ad est da Auletta, sopra un rilievo al di là di immense distese di uliveti, si può notare un altro borgo raggiungibile in 10 minuti di auto: Caggiano. Il comune posto ad oltre 800 metri di altitudine ha un clima decisamente più fresco ed è circondato da terreni produttivi per l’agricoltura essendo bagnati dal fiume Melandro, affluente del Tanagro. Si può dire che le condizioni di vita della zona sono considerate ideali dal lontano VII secolo a.C., ovvero da quando il territorio veniva calpestato da tribù nomadi lucane e da colonie greche provenienti dalla costa ionica.


Il controllo dell’area fu preso (ovviamente) dai Romani combattendo alcune decisive battaglie durante le guerre puniche. Tuttavia i villaggi erano piccoli e, infatti, divennero facile oggetto di violenti saccheggi durante le invasioni barbariche spesso contrastate dai Bizantini. Con gran forza di volontà il popolo bizantino riuscì a mantenere vive le reminescenze della propria cultura dopo la caduta dell’Impero e persino dopo l’indebolimento dei Longobardi, tale successo è confermato dalla presenza corrente di alcune chiese di rito greco sparse nel borgo. Il cambio di pagina che rese Caggiano un centro fortificato avvenne con l’arrivo dei Normanni guidati da Roberto Il Guiscardo, grande condottiero il quale eresse un imponente castello dando inizio a rilevanti sviluppi urbani.


Tuttavia il benessere del luogo, durante il periodo feudale, spesso era interrotto da lotte tra potenti ordini: ad esempio tra Guelfi e Ghibellini e poi durante la Congiura dei Baroni contro gli Aragonesi. Al contempo la nobile famiglia dei Gesualdo tenne saldamente il controllo di Caggiano per circa 400 anni fino al passaggio del testimone ai Ludovisi che a loro volta la vendettero ai Parisani, il cui marchese Vincenzo si distinse nell’attuare un governo duro e oppressivo a tal punto da essere denunciato dai suoi stessi cittadini.








Lo spirito ribelle della popolazione divenne particolarmente esuberante contro il regime borbonico che ebbe un gran daffare a sedare i rivoltosi. Il forte sentimento rivoluzionario fu espresso durante i moti del 1821 e 1831 causando una grave crisi economica che sconvolse Caggiano dando inizio ai primi fenomeni migratori.
Lo spopolamento, durato fin dopo la Seconda Guerra Mondiale, ha svuotato molte abitazioni del centro storico il quale, però, è stato di recente rivalutato da forestieri in cerca di alloggi per trascorrere vacanze nella pace. L’aria pura, il borgo ben tenuto, la terra fertile dalla quale ottenere il meglio della gastronomia locale sono invitanti caratteristiche che rendono il contesto indicato al turismo di qualità.




A tal proposito le strutture d’accoglienza sono numerose e per lo più situate tra uliveti e vigneti così da rendere l’esperienza dell’avventore più rilassante ed immersiva. A rispettare tale modello sono l’Azienda Agricola Morrone, sobrio ma elegante agriturismo impegnato nella valorizzazione dei prodotti locali tra cui l’olio e il carciofo bianco di Pertosa onnipresenti nella pregevole cucina dei fratelli Caggiano, e Le Grotticelle, incantevole tenuta in pietra gestita da Angelo Rumolo e famiglia dove poter gustare una delle migliori pizze a tema territoriale facendo largo uso di erbe spontanee ed altre materie prime a km 0.
Per puntare esclusivamente all’esperienza gastronomica con profumi e innovazioni di alta cucina occorre dirigersi nel cuore del centro storico di Caggiano. Vicinissima al castello, appena superata una delle antiche porte di accesso al borgo, è ubicata la Locanda Severino, locale all’interno dell’antico palazzo Cafaro restaurato e tirato su a nuovo che concentra anche il raffinato albergo dei coniugi Pucciarelli. Le sale del ristorante sono piccole ma accoglienti e sono impreziosite da dettagli minimali ed opere dell’artista Fausto Lubelli perfette nel creare un’atmosfera rilassante.

Il menù concepito dal giovane Giuseppe Brancato, braccio destro del precedente chef stellato Giuseppe Misuriello, abbraccia i prodotti della cultura contadina locale e li trasforma in piatti creativi senza esagerare concedendo qualche alternativa ai golosi di cucina di mare. Nel frattempo, in sala, tutto è sotto il controllo di una cameriera giovane, veloce ma allo stesso tempo discreta e disponibile anche per suggerimenti sul vino presente con un buon numero di etichette in prevalenza regionali.





Nutrendosi di cibo e cultura lo spirito ritorna vigoroso sotto vari aspetti anche se ciò accade in particolar modo al turista colto poiché la terra della Val Tanagro, come del Vallo di Diano e del Cilento lontano dalle coste, racconta per lo più piccole storie dai grandi valori da scoprire con forti intenzioni che, alla fine della giornata dopo una piacevole escursione notturna nel centro di Caggiano, lasciano qualcosa di superiore ad un semplice ricordo.




