
Padula e l’intramontabile Certosa di San Lorenzo.
Ci sono pochi luoghi al mondo che riescono a distinguersi lasciando un segno indelebile nell’animo umano ed essi sono il più delle volte riconosciuti dall’Unesco per l’altissimo contributo culturale alla storia dell’individuo.
Nel Vallo di Diano, tra magnifici paesaggi e borghi incantevoli, esiste un sito difficile da descrivere a parole data la mole di tanti ed emozionanti particolari che si parano davanti agli occhi. Si tratta della Certosa di San Lorenzo, imponente complesso monasteriale tra i più grandi in Europa e il maggiore in assoluto in Italia, a pochi passi dal caratteristico comune di Padula.

Nel lontano XII secolo a.C. non esistevano ancora le bellezze visibili nei giorni nostri ma era presente una folta comunità di Enotri impegnati nella fondazione di una città in collina: Cosilinum. Il centro crebbe velocemente passando per mano dei Lucani prima e dei Romani dopo subendo però i pesanti disagi della Seconda Guerra Punica. Tuttavia la vicinanza con la Via Popilia-Annia, importante strada di origine romana che collegava tutto il sud italico, favorì il commercio con Velia e Paestum permettendo a Cosilinum di espandersi anche a valle.
Molti ritrovamenti dell’antica città sono visibili all’interno della certosa, precisamente al Museo Archeologico della Lucania Occidentale che raccoglie reperti dal X secolo a.C. al VI secolo d.C. rinvenuti dagli scavi effettuati tra Padula e Sala Consilina. Per ulteriori approfondimenti storici è di valore anche il suggestivo Eremo di San Michele alle Grottelle e il Battistero di San Giovanni in Fonte, antichissima struttura risalente probabilmente al IV secolo d.C. abbracciata dai torrenti di una sorgente sotterranea.




Il valore spirituale a quei tempi era elevato grazie alla presenza dei monaci basiliani che fondarono il monastero e la chiesa di San Nicola di cui oggi rimangono poche mura. Purtroppo, a causa delle frequenti incursioni saracene, molti abitanti ed ordini religiosi fuggirono lasciando campo aperto ai Normanni i quali occuparono e fortificarono la città quasi disabitata. Al principio, i pochi civili rimasti, non ebbero vita facile dato che l’equilibrio sociale raggiunto nei secoli passati andò perso, ma, l’acquisizione del feudo da parte di Tommaso Sanseverino, portò grandi cambiamenti in chiave urbanistica aprendo nuove prospettive di vita.




L’area del castello venne rafforzata ed ampliata con nuove mura, in tal modo la sicurezza tipica da roccaforte richiamò altri abitanti dalle zone rurali a valle oltre a diversi ordini monastici. Il monastero di San Nicola riaprì e furono costruiti nuovi edifici religiosi come il Convento di Sant’Agostino, la Chiesa Madre di San Michele Arcangelo e, immancabilmente, la Certosa di San Lorenzo.




Tommaso Sanseverino, essendo molto vicino alla corte Angioina, ebbe a cuore la realizzazione di un complesso religioso da cedere ai certosini, ordine monastico francese, per ingraziarsi al meglio i reali del Regno di Napoli. Così, nel 1306, diede il via ai lavori di costruzione della certosa dedicata a San Lorenzo sotto la supervisione del priore della Certosa di Trisulti.




L’onore e il privilegio dei Sanseverino cessò quando fu ordita la Congiura dei Baroni che costò la caduta della nobile famiglia a fine ‘400. Di conseguenza, tutti i possedimenti a valle e in città, andarono nelle mani dei monaci certosini i quali avviarono una serie di sontuosi rifacimenti al monastero. Fino al ‘700 la certosa visse il suo periodo di massimo splendore venendo impreziosita da architetture, statue e affreschi di stampo barocco.






La grandezza del complesso non stava solo nell’estetica particolarmente ricercata ma anche nello spazio a dismisura: oltre 51.000 metri quadrati disposti su svariate sale e chiostri dedicati alla preghiera e alla ricreazione. Una sorta di paradiso realizzato a pennello dei certosini che suscitava ammirazione persino ad ospiti illustri come Carlo V d’Asburgo.











Tuttavia gli altissimi costi di restauro e di mantenimento della certosa venivano affrontati utilizzando le casse monetarie cittadine, tale politica unita alla malagestione delle universitas portò il clero e la nobiltà a gradi di benessere esageratamente elevati mentre il popolo di Padula e del Vallo di Diano viveva in condizioni precarie se non addirittura disastrose. La situazione non migliorò con l’arrivo dei francesi nel 1807, anzi: i certosini furono cacciati dalla soppressione napoleonica e il monastero saccheggiato mentre nel Vallo infuriavano le insurrezioni che videro protagonista Carlo Pisacane.
Sebbene i padulesi diedero buoni appoggi all’esecuzione dell’Unità d’Italia, i tentativi di rimettere in moto l’economia della città fallirono costringendo molti abitanti ad emigrare ed intanto la certosa diventava, tristemente, un monumento fantasma. Il monastero fu sfruttato per scopi militari durante i conflitti mondiali mentre il tessuto sociale ed economico di Padula era ormai logorato dai continui disagi, i poveri abitanti dovettero aspettare gli anni ’50/’60 per assistere ad un deciso sviluppo urbano che partiva dalla costruzione di infrastrutture essenziali come la rete fognaria.
Oggi si può dire che il comune abbia trovato un equilibrio supportato non solo dalla Certosa di San Lorenzo, restaurata e tornata al suo splendore barocco, ma anche dal gran numero di monumenti e musei tra cui vale la pena menzionare il Museo del Cognome, dedicato alla ricerca genealogica delle famiglie italiane, e la Casa Museo di Joe Petrosino, valoroso poliziotto di origine padulese emigrato in America.










Da non dimenticare la cultura culinaria che, come accennato in un altro articolo dedicato al Vallo di Diano (andate qui per leggerlo!), è di importanza fondamentale per comprendere appieno il luogo. La terra fertile giova anche a Padula che si fa riconoscere per la gastronomia tradizionale supportata da materie prime di qualità come la patata rossa. Il sapore degli ortaggi, dei formaggi e dei salumi locali si può scoprire in diversi ristoranti aventi l’unico obiettivo di promuovere il territorio: tra i tanti presenti nel borgo e nel circondario vale la pena menzionare Fattoria Alvaneta, grazioso agriturismo che funge da “fattoria didattica” per scoprire i segreti della coltura biologica e della cucina tipica stando a contatto con gli animali e la natura, e Porticum Herculis, ristorante dell’albergo Villa Cosilinum che accoglie gli avventori in ambienti storici di grande atmosfera per gustare sostanziosi piatti della tradizione.
Con le papille gustative che esplodono dovrebbe chiudersi un qualsiasi viaggio nello splendore del passato, un peregrinare indietro nel tempo tra usi e costumi che fa comprendere la grandezza e il sacrificio di un popolo mentre le mura di pietra, in silenzio e talvolta piene di sfavillanti barocchismi, sono ancora in piedi come invito a non dimenticare chi siamo.