
Il sogno e la caduta di Pompei.
La grandezza storica della Campania Felix è ampiamente espressa in quasi tutta la regione attraverso siti e monumenti di inestimabile valore che raccontano il passato con dovizia di particolari. Il trascorrere del tempo può essere stato fatale per la conservazione di testimonianze essenziali all’identificazione di un luogo ma in alcune circostanze si è avuta la fortuna (o sfortuna in base alle prospettive) di scovare autentici tesori capaci di illustrare perfettamente cultura ed eventi di origine antichissima.
Un patrimonio storico in grado di mostrare così tante caratteristiche è usualmente il parco archeologico di una città, un vero e proprio museo all’aperto dove ammirare un tipo di bellezza arcana, quasi ispirata dagli dei. Emozioni di tale intensità si provano di fronte ai templi di Paestum (qui per saperne di più), tra le strade lastricate di Velia (maggiori approfondimenti qui), nei magnifici anfiteatri di Pozzuoli, tra le ville della intricata rete urbana di Pompei e in tante altre aree della Campania.

Il viaggio tra le strade di Pompei è uno di quelli che rimane nel cuore, una tappa fondamentale per chi vuole conoscere la storia camminando con calma e, al tempo stesso, con un brivido all’idea di calpestare un luogo tanto antico. La città, facilmente raggiungibile a metà strada tra Napoli e Salerno, è una delle più ancestrali e famose “metropoli” al mondo grazie ai numerosi monumenti presenti in condizioni ideali da capire usi e costumi delle civiltà che fondarono una realtà tra le più potenti della Campania Felix.


La zona di Pompei era molto ambita già a partire dal IX secolo a.C. da civiltà nomadi come gli Opici in virtù della posizione strategica dalla quale sorvegliare il mare e della fertilità del terreno bagnato dal fiume Sarno. Tali caratteristiche spinsero il successivo popolo degli Osci a stabilirsi definitivamente in quell’area costruendo ben cinque insediamenti che si unirono in un solo agglomerato protetto da spesse mura.
Il 700 a.C. fu un periodo di grande espansione dei Greci nel sud della penisola i quali colonizzarono interi villaggi e città. Dopo aver preso il controllo di Ischia e Cuma senza alcun intervento militare, Pompei finì allo stesso modo nell’orbita ellenica vivendo alcune sostanziali trasformazioni sociali ed urbane: con l’introduzione dei culti greci vennero costruiti i primi templi tra cui il Tempio Dorico.



Nel 524 a.C. giunse il momento degli Etruschi che, dopo la fondazione di Capua, seguirono le orme dei Greci occupando la città senza alcuno sforzo bellico e mettendo in atto nuovi progetti per ampliare la rete urbana tra cui la costruzione del Santuario di Apollo e un foro, ovvero un luogo di ritrovo tra commercianti, funzionari pubblici e cittadini che diventò alcuni secoli più avanti uno dei simboli di Pompei.




Circa un secolo dopo gli Etruschi subirono una importante sconfitta contro i Cumani così Pompei tornò di nuovo sotto l’influsso dei Greci che provvidero al restauro dei templi, al rafforzamento delle mura e alla realizzazione di nuovi quartieri.
Alla fine del 400 a.C. ci fu un massiccio movimento dei Sanniti, popolo proveniente dall’Abruzzo e dal Molise, all’interno della Campania con chiare intenzioni di conquista. A tal punto fu forte l’intervento del “giovane” Impero Romano il quale diede inizio alle note Guerre Sannitiche per ostruire l’avanzata degli invasori ed esercitare una iniziale seppur lieve influenza su Pompei.
Nonostante le tensioni politiche scaturite dalle guerre e dai continui cambi di alleanze, durante il III e il II secolo a.C., la città crebbe in maniera esponenziale con nuovi sobborghi e mura in calcare di Sarno oltre a sfoggiare edifici di elevata qualità architettonica presenti soprattutto nel sontuoso Foro Civile.






Dopo la sconfitta dei Sanniti non mancarono anche gli interessi espansionistici di Annibale che, mettendo a ferro e fuoco la penisola, avviò le Guerre Puniche condizionando i pompeiani ad un ulteriore rafforzamento della muraglia con grande uso di tufo.
Il tempo passava ma Roma non aveva ancora il dominio sulla città: i senatori guardavano con ammirazione la ricchezza scaturire dai fertili campi e dall’intenso commercio di olio e vino con Spagna e Provenza. I piani di conquista dei Romani giunsero alle orecchie di Pompei che si organizzò costruendo torri di guardia sulle recinzioni ed istruendo un esercito in vista di una probabile battaglia.



Nonostante l’aiuto dei Celti, la resistenza fu ardua e costò la vita di decine di migliaia di soldati fino alla inevitabile resa nell’89 a.C., Pompei diventò parte dell’Impero ed acquisì il titolo di municipium. Tuttavia la sconfitta non rappresentò la fine di una città bensì l’inizio di una trasformazione che non condizionò particolarmente la vita dei pompeiani: cambiarono le leggi elettorali e il latino divenne lingua ufficiale anche se il greco e l’osco erano ancora molto parlati.
Alla nomina di Augusto nel 27 a.C. come primo Imperatore Romano, Pompei visse un periodo di profondo rinnovamento attraverso il restauro e la costruzione di edifici la cui architettura richiamava i maggiori simboli dell’Impero. La città divenne meta favorita dei patrizi romani non solo per villeggiatura ma anche per svolgere importanti funzioni politiche e/o commerciali.








Il benessere cittadino era molto elevato non solo per la presenza di infrastrutture utili agli abitanti come l’Acquedotto Romano del Serino ma anche per le numerose attività di svago tra palestre, teatri, terme, locande e case di piacere come il Lupanare.








Altra peculiarità a rendere Pompei una splendida metropoli è la presenza di tante domus, ville urbane di solito appartenenti a nobili famiglie patrizie. Tali abitazioni si distinguevano facilmente dalle altre per la presenza di un peristilio interno, sorta di piccolo giardino contornato da colonne, che comunicava con svariati ambienti per lo più decorati da sontuosi affreschi e mosaici.



















La metropoli sembrava raggiungere apici sempre maggiori di successo fin quando non scattarono i primi preoccupanti segnali d’allarme: un violento terremoto nel 62 d.C. nella vicina Stabiae causò crolli e disagi anche a Pompei sconvolgendo la vita idilliaca della popolazione. Molti residenti, in particolar modo i più abbienti, fuggirono provocando una crisi commerciale della città che nel frattempo assisteva ad una lenta ricostruzione non esente da abusivismo edilizio.

L’ignara fine di Pompei giunse una mattina tra agosto e novembre del 79 d.C.: il Vesuvio, vulcano quiescente, generò prima dei “leggeri” terremoti tentando di liberarsi dal tappo magmatico solidificato che ostruiva il cratere e poi esplose brutalmente causando una fitta pioggia di lapilli seguita da alcuni potenti quanto mortali flussi piroclastici. Il maggior numero degli abitanti riuscì a mettersi in salvo durante le prime scosse sismiche mentre altri, attardati o incauti, andarono incontro alla morte: le scosse telluriche facevano crollare edifici interi, l’aria era resa irrespirabile dalle ceneri e, proprio quando il vulcano sembrò calmarsi, l’altissima velocità di caduta di materiale vulcanico incandescente eliminò qualsiasi tentativo di sopravvivenza.
Quando l’eruzione terminò in tutte le sue terribili fasi lo scenario desolante ed apocalittico mostrava Pompei ed altre città vicine completamente sommerse dalla cenere. Un video dimostrativo in computer grafica illustra gli stati dell’attività vulcanica con sorprendente realismo:
Per 1700 anni Pompei cessò di esistere finché nell’epoca dei Borboni, a seguito di alcuni importanti ritrovamenti nella zona di Ercolano, non fu ordinato di eseguire degli scavi nell’area pompeiana. Nonostante i buoni riscontri, i lavori non proseguivano sempre scorrevolmente e le rovine venivano usate solo per mostrarle agli ospiti di corte.
Dopo l’Unità d’Italia, grazie a maggiori disponibilità economiche, ci fu una veloce ripresa degli scavi sotto la guida dell’archeologo Giuseppe Fiorelli il quale ideò una tecnica per ottenere i calchi delle vittime dell’eruzione. Il recupero proseguì con costanza nel corso del secolo anche se non senza intoppi (ad esempio il terremoto dell’Irpinia negli anni ’80) portando alla luce buona parte della città scomparsa dichiarata poi, nel 1997, patrimonio Unesco.

Al tempo dei primi scavi, la valle martoriata dal Vesuvio era una inquietante palude abbandonata alle inquinate acque del fiume Sarno. Quindi, per consentire i lavori con maggiore sicurezza, i Borboni predisposero delle profonde bonifiche consentendo anche la costruzione di nuovi villaggi.
In uno di quegli agglomerati, nel 1876, fu fondato il simbolo che tutt’oggi rappresenta il centro moderno di Pompei: il Santuario della Beata Vergine del Rosario di Pompei, grande chiesa eressa dal ricco ereditiero Bartolo Longo che si distinse in molte opere assistenziali in virtù di bisognosi ed ammalati. L’impegno caritatevole del benefattore chiamò a raccolta numerosi pellegrini e devoti alla Madonna che resero il luogo abbastanza movimentato da esigere nuovi spazi e strutture fino all’istituzione del Comune di Pompei nel 1928.



Per quanto siano di estremo valore le attrattive contemporanee, la valorizzazione dell’antica Pompei rimane l’obiettivo principale da seguire ed approfondire con assidue ricerche. La nascita di un istituto ad autonomia speciale che cura il Parco Archeologico di Pompei ha reso il complesso museale estremamente amato da milioni di visitatori da tutto il mondo invogliati dalla bellezza di una cultura molto lontana.
Il boom turistico ha permesso nel corso degli anni la crescita di attività ricettive tra alberghi, ristoranti e caffetterie per tutti i portafogli. Non mancano i locali signorili che ben si associano all’atmosfera “patrizia” dell’antica Pompei come lo stellato Ristorante President ma va anche ricordato che ci si trova nella provincia di Napoli in cui la cucina tradizionale, punto di forza della “puteca” Casa Gallo, entra facilmente nel cuore.
Esiste infine una via di mezzo, una gastronomia dalle radici campane molto salde ma reinventata il giusto senza venir completamente snaturata: lo chef e patron di tale impresa è Gian Marco Carli de Il Principe, raffinato ristorante in cui gustare grandi sapori tratti dall’esperienza maturata in famiglia e in giro per il mondo. La pasta mista di Gragnano, il babà e i fritti della tradizione napoletana sono alcuni dei grandi classici presi dallo chef e reinterpretati donando un aspetto e un carattere ricercati che, alla minima esplosione delle papille gustative, portano sempre e comunque in Campania. Da sottolineare che calarsi a fondo nell’anima delle portate è facilitato dall’ambiente ovattato ben gestito dalla brigata di sala molto professionale e dall’accoglienza familiare.






In territorio partenopeo, tra le strutture ristorative, non possono poi mancare le pizzerie. Il lievitato preferito in assoluto della regione trova ampio spazio a Pompei in tantissimi locali in cui vige l’impegno di proporre anche ristorazione a base di piatti tipici della tradizione. Tale impegno, con molta attenzione alla qualità degli ingredienti e ad un servizio veloce (come lo si pretende in un luogo dai grandi numeri di turismo), lo si riscontra da Varnelli Pizza & Cocktail e Ventuno Grammi tra i tanti a pochissima distanza dal parco archeologico.

Una bellezza, quella di Pompei, a 360 gradi che fonde culture antiche e nuove tra ombre e chiarori di passato e presente dal valore inestimabile.